Cinema

Gran Torino

Gran Torino

Walt Kowalski (C. Eastwood) è un pensionato di Detroit, reduce di guerra, vedovo, incapace di comunicare coi propri figli, forse per colpa sua, forse per colpa loro. Conservatore, razzista, misantropo, vive legato a valori di un mondo passato – semmai esistito – fatto di qualità umane di cui oggi non rimane che l’ombra impolverata. Quest’ombra però è la sua vita. Kowalski insomma non ne sa molto di vita. S’intende bene invece di morte, di quella che ha provocato e di quella che porta dentro di se come principio che lo inquieta. La sua vita è reclusa in un angolo, messa in disparte, coperta da un telo che la difende e che ne impedisce i movimenti, proprio come quello che copre la sua Ford Gran Torino del ‘72. Kowalski difende il suo terreno da chi abbia intenzione di valicarne i confini. Difende il suo mondo e la sua vita. E la sua vita è tutta chiusa lì dentro la sua proprietà, in una dimensione di solitudine domestica. È un nichilista, o forse semplicemente uno che ha fallito. Nessuna salvazione, nessuna vita eterna, nessuna redenzione dal peccato. Il cattolico Padre Janovich (Christopher Carley) rimane sull’uscio della sua porta. Il suo messaggio non è per le orecchie di Kowlaski. Kowalski è puro principio negativo. Il muro di autismo che si è creato intorno lo porta a negare ciò che lo circonda; percepisce il diverso, l’altro, come ostile, come un nemico, lo odia, e lo combatte con l’ironia, parole taglienti come cuspidi, almeno fino a quando non viene costretto a impugnare il fucile. L’altro è tutto il mondo. Ma è proprio il massimo di diversità a creare una breccia: due fratelli, Thao e Sue, di origine asiatica, provenienti da un mondo che a Kowalski ricorda solo gli anni passati sul fronte coreano. Il suo razzismo si ammorbidisce, l’altro rivela aspetti che egli non pensava neppure, una cultura diversa si rivela portatrice di significati che rianimano la sua esistenza. I due fratelli riempiono il vuoto lasciato dai suoi figli e dai suoi nipoti. Stesso sangue, ma troppe differenze, troppo distante e insensata la vita delle nuove generazioni di americani. La Gran Torino riprenderà a girare per le strade di Detroit, la vita quindi riacquisirà un progetto, un senso. Ma ogni ascesa dalla sofferenza necessita un Calvario. Si aprono le porte al messaggio cristiano. Per il cristianesimo infatti la salvazione dell’altro (l’umanità) può darsi solo attraverso il sacrificio di sé (il Cristo). La morte, ciò di cui «sa molto» l’ateo Kovalski, renderà possibile che si dia la vita, che venga protetta quella di Thao e Sue. Dalla massima chiusura alla massima apertura dunque. Un film incredibilmente denso, una storia raccontata con leggerezza e profondità, eleganza e ironia. Ogni inquadratura è carica di senso, tutto è studiato fin nei minimi particolari, si cerca la perfezione. Una meticolosità che fa di ogni nuovo film di Eastwood un caso, un capolavoro. Un "vecchio del cinema" capace sempre di rinnovarsi, di raccontare, di divertire, di far riflettere.